Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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L. 21 febbraio 2006 n. 49 - Modifica art. 28 T. U. Leggi di P.S. (G.Uff. n. 48 del 27/02/06, Supp. Ord.)

Il testo dell'art. 28 T.U. Leggi di P.S. viene così modificato:

(le modifiche in corsivo)

Art. 28. - Oltre i casi preveduti dal codice penale, sono proibite la fabbricazione , la raccolta, la detenzione e la vendita , senza licenza del Ministro per l'interno, di armi da guerra e di armi ad esse analoghe, nazionali o straniere, o di parti di esse, di munizioni, di uniformi militari o di altri oggetti destinati all'armamento e all'equipaggiamento di forze armate nazionali o straniere. Con la licenza di fabbricazione sono consentite le attività commerciali connesse e la riparazione delle armi prodotte.
La licenza è altresi necessaria per l'importazione e l'esportazione delle armi da fuoco diverse dalle armi comuni da sparo non comprese nei materiali di armamento, nonché per la fabbricazione, l'importazione e l'esportazione, la raccolta, la detenzione e la vendita degli strumenti di autodifesa specificamente destinati all'armamento dei Corpi armati o di polizia, nonché per la fabbricazione e la detenzione delle tessere di riconoscimento e degli altri contrassegni di identificazione degli ufficiali e degli agenti di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria, fatte salve le produzioni dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.
Per il trasporto delle armi stesse nell'interno dello Stato è necessario darne avviso al Prefetto.
Il contravventore è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro cinquecento ad euro tremila.
[Le disposizioni di cui al comma 2 si applicano a decorrere dal quindicesimo giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del presente decreto. Per coloro che già esercitano le attività di cui al medesimo comma, la licenza, se non prevista dalle disposizioni precedentemente in vigore, deve essere richiesta entro i sessanta giorni successivi alla stessa data].

NOTA
La modifica dell’art. 28 T.U. Leggi di P.S. fatta con la presente legge è di difficile comprensione ed interpretazione; è noto agli “addetti ai lavori”che il ministero dell’interno voleva risolvere alcuni problemi propri, ma, more solito, invece di affrontare il toro per le corna, si è avvalso di formulazioni contorte e fumose che dicono e non dicono!
Vediamo di analizzare la varie espressioni introdotte nell’art. 28 citato.
Nel primo comma sono state introdotte fra le varie attività sottoposte a controllo anche quelle della fabbricazione e della vendita; nulla cambia per ciò che concerne i prodotti soggetti alla norma; come si è detto nelle pagine precedenti non vi può essere divergenza tra l’elencazione di materiali fatta nell’art. 28 e quella contenuta nella legge sul materiale di armamento e perciò la norma non può regolare altro che il materiale di armamento.
L’ultima frase introdotta per cui “con la licenza di fabbricazione sono consentite le attività commerciali connesse e la riparazione delle armi prodotte” risolve esclusivamente un dubbio idiota che si era insinuato nelle menti di alcuni funzionari di PS i quali ritenevano che il fabbricante di armi non potesse riparare le armi vendute (obbligo che gli è imposto dalle norme civilistiche!) e che, una volta prodotte le armi non le potesse vendere. Come se  se si potesse produrre per un motivo diverso dalla cessione ad altri!
È stato poi introdotto un secondo comma in cui la prima frase stabilisce che la licenza è altresì necessaria per l'importazione e l'esportazione delle armi da fuoco diverse dalle armi comuni da sparo non comprese nei materiali di armamento. La frase è incomprensibile per chi non conosce la vicenda che vi è alle spalle: la Beretta produce ed esporta pistole in calibro nove Parabellum le quali in Italia sono considerate da guerra solo per inconsulte decisioni della Cassazione, ma che non rientrano sicuramente fra il materiale di armamento, in quanto non sono armi automatiche. Ovviamente la Beretta non può esportarle come materiale di armamento e quindi le esporta, in modo del tutto legittimo, con normale licenza di esportazione di armi, visto che poi, non appena passano il confine, in tutto il mondo sono armi comuni perché all’estero poco si curano delle opinioni della Cassazione italiana. Apriti cielo! quando il fatto è stato scoperto dai PM di Brescia è stata messa in piedi una formidabile indagine per scoprire l’arcano, ed è stato persino nominato un perito per spiegare le norme di legge ai giudici!
Il Ministero quindi, con la norma riportata, ha inteso mettere una pezza a questa situazione. Però non ha saputo formulare la norma la quale, così come è scritta, sembra eliminare in parte la normale licenza di esportazioni armi di cui all’art. 31 T.U. L. di PS per sostituirla con una nuova licenza, così che le armi da fuoco verrebbero esportare solo con licenza del Ministero ex art 28  mentre che le armi non da fuoco continuerebbero ad essere esportate con licenza del questore  ex art. 31! Nulla di men vero perché la modifica all’art. 28 concerneva solo una situazione del tutto particolare rimasta purtroppo nascosta nella mente del burocrati.
La frase successiva è di ancor più difficile comprensione; essa recita che la licenza è altresì necessaria per la fabbricazione, l'importazione e l'esportazione, la raccolta, la detenzione e la vendita degli strumenti di autodifesa specificamente destinati all'armamento dei Corpi armati o di polizia.
Che cosa si intende per “strumento di autodifesa”? È del tutto chiaro che non si può trattare di armi perché uno strumento destinato a recare offesa è arma per definizione.
Purtroppo per la logica sembra invece che il ministero avesse proprio in mente certe armi diverse dalle armi da fuoco, come le bombolette di lacrimogeno, i manganelli ed eventualmente alcune di quelle che vengano chiamate “armi non letali”. Se così era, è chiaro che hanno sbagliato completamente la formulazione della norma perché se questi prodotti, nella versione per polizia, sono strumenti e non armi è evidente che non possono diventare armi nella versione civile e che quindi diventerebbero automaticamente di libera vendita. Inoltre la norma sarebbe inutile perché i corpi di Polizia possono dotarsi di ogni arma necessaria in base ad un semplice provvedimento amministrativo interno. Sulle bombolette si veda questo scritto.
Perciò si deve ritenere che il legislatore si riferisse a qualche cosa di diverso ed infatti il Ministero, con circolare del 7 marzo 1006, ha detto che il riferimento della norma è fatto innanzi tutto agli speciali indumenti di protezione (balistica o anti-deflagrazione) ed agli scudi specificamente realizzati per le forze dell'ordine; e fino qui l’affermazione è sicuramente corretta. La circolare però continua poi affermando che la norma si riferisce anche  a quegli “strumenti di autodifesa" contemplati da alcune leggi regionali per l'equipaggiamento della polizia municipale, che vanno ora ricompresi tra i materiali d'armamento destinati ai Corpi armati e di polizia. E qui la mente si perde, perché proprio non si riesce a capire quali altri misteriosi strumenti di difesa passiva possono essere in dotazione alla polizia municipale e di come si possa parlare di armamento della polizia municipale che non è di certo una forza armata. Di certo non ci si può riferire “bastoni da segnalazione” i quali, per non essere armi, devono essere necessariamente solo dei delicati e soavi tubi colorati.
La norma richiede inoltre che si tratti di  prodotti specificamente realizzati per le forze di polizia. È una definizione che vuol dire tutto e niente perché un prodotto destinato alla polizia negli USA non vuol dire che lo sia in altri Stati. Per restare all’Italia è comunque richiesto uno specifico provvedimento amministrativo che qualifichi detti prodotti  come destinati alle forze di polizia e che ne indichi le specifiche caratteristiche distintive tecniche che lo fanno distinguere, per maggior resistenza ed efficienza, da un prodotto analogo destinato ad usi civili. Ed è di tutta evidenza che non è sufficiente che il prodotto abbia solo marchi o scritte o colorazioni richieste dalla forze di polizia.
In conclusione si può affermare con certezza che è del tutto illegittima la pretesa della Ps di sottoporre nuovamente a controllo la vendita di divise ed oggettistica paramilitare o parapoliziesca che non rientri nel materiale di armamento o negli specifici strumenti di autodifesa sopra indicati.  Essi sono di libera vendita e detenzione (si pensi ai giubbetti antiproiettili per le guardie giurate o a tute mimetiche non materiale di armamento).
La legge ha introdotto un controllo anche delle tessere di riconoscimento e degli altri contrassegni di identificazione degli ufficiali e degli agenti di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria. La norma si riferisce chiaramente solo ai documenti e distintivi; non certo, come ha scritto il Ministero, anche alle sciarpe tricolori dei sindaci o alle palette dei vigili urbani.
Con un po’ di buon senso si dovrebbe capire che un delinquente o terrorista che vuole  compiere una rapina o un attentato non è di certo trattenuto dal timore della pena per aver scritto su di una paletta la parola POLIZIA e che sarebbe assurda una norma che occupasse di queste baggianate!
L'ultimo comma che stabilisce la pena è ora linguisticamente errato perché contravventore è chi commette una contravvenzione e non chi, come ora, commette un delitto punito con la reclusione. Ma certamente chiedo troppo alla imperante ignoranza dei giuristi legiferatori!


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