Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Il 9 para definitivamente comune - Cass. 24046/2015

Cass. I, nr. 24046 del 14-5-2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Estensore: BONI MONICA Data Udienza: 14/05/2015
Procuratore Generale in persona del Dott. Maria Giuseppina Fodaroni che ha chiesto l'annullamento della sentenza della Corte di Appello di Napoli.
Difensore :Avv. Marcello Severino

Con sentenza resa il 13 marzo 2014 la Corte di Appello di Napoli riformava parzialmente la sentenza, emessa all'esito del giudizio celebrato col rito abbreviato dal G.U.P. del Tribunale di Napoli in data 9 febbraio 2011 ed escludeva formalmente la recidiva contestata all'Imputato Luigi Ruffo, di cui il primo giudice non aveva tenuto conto nel calcolo della pena, e confermava nel resto l'impugnata sentenza che aveva affermato la sua responsabilità in ordine ai delitti di detenzione e porto illegali di due pistole calibro 9 x 19, complete di caricatore con tredici cartucce dello stesso calibro ciascuna.
Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso l'imputato personalmente, il quale si duole di violazione di legge in ordine all'erronea applicazione dell'art. 1 L. 110/75, in luogo dell'art. 2 L. 110/1975; secondo il ricorrente, era errata la qualificazione delle due pistole come armi da guerra, basata sull'attribuzione della denominazione "parabellum', che in realtà non è significativa, mentre la distinzione fra arma da guerra ed arma comune è stabilita dalla L. 185/1990, che definisce i criteri tecnici indicati nell' art. 1 L. 110/1975 e che, nel suo testo integrato dal D.M. 13 giugno 2003, stabilisce che fra le armi di piccolo calibro che interessano anche i privati, appartengono al materiale di armamento, e sono quindi armi da guerra, soltanto le armi lunghe o corte automatiche, prodotte per eserciti moderni, mentre tutte le altre sono armi comuni, così come le munizioni che impiegano. Oltre a ciò, la legge 110/1975 prevede l'assimilazione alle armi da guerra di quelle comuni modificate per assumere caratteristiche di arma da guerra; in particolare, l'art. 2 elenca una serie di armi, tra le quali le pistole semiautomatiche ed i fucili a canna rigata, che per loro natura e definizione sono comuni, a meno che non siano a raffica o presentino spiccata potenzialità. Nel caso di specie, dalla consulenza e dalla deposizione del teste Vollero è emerso che le pistole sequestrate sono di tipo semiautomatico, non modificate per tiro a raffica o per aumentarne la potenzialità e che le relative munizioni non sono, né a palla, né incendiarie, né di tipo diverso da quelle comuni, quindi rientrano nella previsione dell'art. 2 L. nr. 110/75. Dalla diversa qualificazione delle armi discende anche in diverso regime sanzionatorio.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato e merita dunque accoglimento.
L'impugnazione ripropone la tematica della corretta qualificazione giuridica da assegnare alle pistole illegalmente detenute e portate in luogo pubblico dal ricorrente; la Corte distrettuale ha ritenuto rientrassero nella categoria delle armi da guerra in quanto in dotazione delle forze dell'ordine ed equiparate quindi a quelle d'uso bellico.
E' noto che, secondo l'orientamento tradizionale di questa Corte, da ultimo ribadito da sez. 1 n. 16630 del 14/03/2013, Pezzella, rv. 255842, e da sez. 1 n. 12737 del 20/03/2012, Tomasello ed altro, rv. 252560, anche dopo la modifica apportata all'art. 2 della legge n. 110 del 1975 dall'art. 5, comma 1 lett. a), D.Lgs. n. 204 del 2010, la pistola semiautomatica calibro 9 x 19, camerata per le munizioni cal. 9 parabellum, e le relative cartucce, sono da considerarsi arma e munizioni da guerra, sul duplice presupposto della spiccata potenzialità offensiva e della destinazione esclusiva alla dotazione delle forze armate e dei corpi armati dello Stato. Ma tale linea interpretativa è stata recentemente sottoposta a revisione alla stregua delle considerazioni e degli argomenti che seguono.
II criterio della spiccata potenzialità offensiva, che caratterizza la definizione normativa delle armi da guerra e del relativo munizionamento, contenuta nell'art. 1, commi 1 e 3, della legge n. 110 del 1975, quale requisito specifico e tipico per individuare l'appartenenza del modello di pistola in oggetto alla categoria delle armi da guerra, o tipo guerra, è contraddetto dalla pacifica qualificazione normativa come arma comune da sparo, in quanto tale liberamente commerciabile sul mercato interno, della pistola semiautomatica calibro 9 x 21. Trattasi di un modello di arma corta da fuoco, caratterizzato da qualità tecniche e capacità balistiche pressoché identiche, se non superiori, a quelle del modello 9 x 19, rispetto al quale l'unica differenza è rappresentata dal fatto di essere camerata per le cartucce cal. 9 x 21 IMI, dotate di un bossolo più lungo di 2 mm. e di una potenza di sparo certamente non inferiore a quella della cartuccia 9 x 19 parabellum.
Inoltre, sul mercato italiano sono reperibili e liberamente detenibili da privati, pur nel rispetto delle disposizioni di pubblica sicurezza, anche munizioni per arma comune da sparo, dotate di una superiore capacità lesiva della persona, ad esempio quelle del calibro 357 magnum 9 x 33 mm R, nonché, nella categoria delle armi lunghe da fuoco camerate per cartucce del medesimo calibro 9 x 19 parabellum, la carabina Thureon Defense di fabbricazione statunitense, che ha recentemente ottenuto dal Banco nazionale di prova di Gardone Valtrompia la certificazione quale arma comune da sparo importabile e commerciabile in Italia. Anche tali considerazioni contribuiscono ad escludere l'intrinseca potenzialità offensiva, tipica del munizionamento per armi da guerra, ai dispositivi camerati con munizioni cal. 9 x 19 parabellum.
Né la qualificazione in termini di arma da guerra della pistola semiautomatica camerata per l'utilizzo di questo tipo di munizionamento può dipendere da un carattere intrinseco della stessa in quanto arma destinata, in forza di una naturale potenzialità offensiva, all'impiego bellico. Tale conclusione riceve conforto sul piano normativo-sistematico dal fatto che la relativa disciplina è contenuta, non già nell'art. 1 della legge n. 110 del 1975, che definisce le armi da guerra, le armi tipo guerra e le munizioni da guerra, ma nel successivo art. 2, che individua le armi e le munizioni comuni da sparo, prevedendo, al comma 2, il divieto di fabbricazione, di introduzione nel territorio dello Stato e di vendita del relativo modello di armi corte da fuoco "salvo che siano destinate alle forze armate o ai corpi armati dello Stato, ovvero all'esportazione". In tal modo la norma postula che, in mancanza di tale divieto, tali dispositivi sarebbero altrimenti commerciabili nello Stato secondo la disciplina delle armi comuni da sparo, dal momento che, se si trattasse di armi da guerra rientranti nella definizione dell'art. 1, la loro importazione in Italia e la vendita ai soggetti privati sarebbero di per sé inibite dalla relativa qualità, senza la necessità di imporre un apposito divieto al riguardo. Deve desumersi che il divieto assoluto, stabilito dalla normativa nazionale per i soggetti privati, di acquistare, detenere e portare con le debite autorizzazioni.
il modello di pistola calibro 9 x 19 parabellum è dunque funzionale ad assicurarne la destinazione esclusiva alla dotazione delle forze armate e dei corpi di polizia, ma prescinde da una presunta qualità e natura intrinseca di arma da guerra, dipendente da una maggiore potenzialità offensiva delle cartucce 9 x 19 parabellum, il cui impiego sarebbe altrimenti proibito anche per le armi lunghe da fuoco.
La relativa disciplina assolve così alla funzione, non già di tutelare la sicurezza pubblica, inibendo la disponibilità ai soggetti privati di un'arma e di un munizionamento dotati della spiccata pericolosità e azione lesiva tipiche delle armi da guerra, ma di consentire - o per converso di escludere - l'immediata riferibilità, in termini di tendenziale certezza, all'azione delle forze armate o di polizia, in caso di sparo o conflitto a fuoco, dei bossoli dei colpi esplosi da armi corte, il cui calibro corrisponda o meno allo specifico modello della pistola di servizio in dotazione esclusiva ai corpi armati dello Stato.
La destinazione, per quanto esclusiva, all'armamento delle forze armate e dei corpi armati dello Stato italiano non può pertanto assumere, nel caso della pistola semiautomatica calibro 9 parabellum, alcun ruolo decisivo ai fini della sua classificazione e qualificazione giuridica come arma da guerra, che - a seguito dell'abrogazione dell'art. 7 della legge n. 110 del 1975 per effetto della novella di cui aM'art. 14 della legge n. 183 del 2011, con conseguente soppressione con decorrenza dal 1° gennaio 2012 del catalogo ivi previsto - non è più possibile ricavare, per esclusione, neppure dalla mancata iscrizione nel catalogo nazionale delle armi comuni da sparo.
Rilievo decisivo riveste, invece, agli effetti della risoluzione della questione di diritto la sopravvenienza della norma di cui all'art. 23, comma 12-sexiesdecies, della legge 7 agosto 2012 n. 135, di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 6 luglio 2012 n. 95. La disposizione, a seguito della abolizione del catalogo previsto dall'art. 7 della legge n. 110 del 1975, ha attribuito al Banco nazionale di prova di cui all'art. 11 comma 2 della medesima legge la competenza a verificare, per ogni arma da sparo prodotta, importata o commercializzata in Italia, la qualità di arma comune da sparo. Al riguardo il suddetto Banco, in attuazione dei nuovi compiti assegnatigli dalla legge nella procedura per la classificazione e il riconoscimento delle armi comuni da sparo, ha varato la deliberazione, pubblicata sul sito internet ufficiale del Banco nazionale di prova di Gardone Valtrompia, adottata all'esito della riunione del consiglio di amministrazione del 1° marzo 2013 e approvata dal Ministero dello sviluppo economico in data 19 aprile 2013, che, con specifico riguardo alle armi da fuoco corte semiautomatiche calibro 9 x 19 parabellum, dopo aver dato atto che la normativa nazionale di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 204 del 2010 ne consente "la fabbricazione e l'esportazione secondo la normativa delle armi comuni", ma "tuttavia ne vieta la commercializzazione in Italia ai soggetti privati", ha precisato testualmente che "per evitare equivoci, le armi stesse non saranno inserite nell'elenco delle armi classificate, ma che sul certificato di prova rilasciato al produttore/importatore il Banco dichiarerà che si tratta di arma comune non commercializzabile in Italia".
Alla stregua di tale ultima determinazione, proveniente dall'ente istituzionalmente deputato a verificare la qualità di arma comune da sparo delle armi da fuoco prodotte ed importate in Italia, non è dunque più possibile dubitare della qualità di arma comune da sparo che deve riconoscersi, sul piano normativo, alla pistola semiautomatica calibro 9 x 19, camerata per le munizioni cal. 9 parabellum, il cui inserimento nell'elenco delle armi commercializzabili in Italia ai soggetti privati è inibito soltanto dal divieto normativo - contenuto nell'art. 2 comma 2 della legge n. 110 del 1975 - che ne riserva la destinazione d'uso alle forze armate e ai corpi armati dello Stato, e non dalla natura e qualità intrinseca del modello di pistola in oggetto, che è e resta quella di un'arma comune da sparo; e tale conclusione, coerente e consequenziale a tutte le considerazioni che precedono, è condivisa e recepita da questa Corte, che intende dare seguito ai principi di diritto già espressi nei termini suesposti da sez. 1, n. 6875 del 05/12/2014, Colitti, rv. 262609 e sez. 1, n. 52526 del 17/09/2014, Raso, rv. 262186.
Da quanto precede discende la fondatezza della doglianza espressa col ricorso: deve dunque essere affermata la natura di arma comune da sparo delle due pistole marca Walther modello p990 cal. 9 x 19 ed altrettanto va detto quanto alle cartucce, in quanto prive delle caratteristiche di micidialità e di forza dirompente che costituiscono il discrimine per poterle qualificare come munizionamento da guerra (vedi sez. 1 n. 9068 del 3/02/2011, Marino, rv. 249874).
In conseguenza dell'operata diversa qualificazione giuridica del fatto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli, che dovrà attenersi ai principi di diritto sopra esposti, per la rideterminazione della pena complessiva da infliggere al ricorrente.
P. Q. M.
riqualificato il fatto come detenzione e porto di armi comuni da sparo e relative munizioni, annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli.

NOTA

Sono  60 anni che mi occupo di armi, prima come cacciatore e poi come giudice. Da ragazzo leggevo la rubrica delle risposte ai lettori che un mio zio magistrato teneva su "Il Cacciatore Italiano". Nel 1974 pubblicai su La Giustizia Penale un articolo fondamentale sulla nozione di arma da guerra  che portò alle definizioni introdotte  dalla legge 110/1975.
Da allora ho dovuto sempre combattere contro l'inerzia mentale di giudici e burocrati che restavano legati alle nozioni del passato e cercavano di adattare le nuovo norme ad esse!
Ho impiegato 20 anni per far capire che una baionetta non è un'arma da guerra.
Ho impiegato 12 anni a far accettare l'idea che gli esplosivi andavano distinti fra quelli micidiali e quelli non micidiali.
Ho impiegato mezzo secolo a far comprendere che non può esistere un pugnale senza lama da pugnale.
Ma ci sono riuscito!
Restava il punto delle armi e dei civili usati da forze armate e che il Ministero si ostinava a voler considerare da guerra in contrasto con l'uso normativo internazionale, supinamente seguito da squallidi periti e da giudici che non avevano adeguate conoscenza per poter decider di testa propria (avrebbero potuto affidarsi alla dottrina!).
Batti e ribatti sono riuscito a convincere molti giudici di merito sul fatto che il calibro 9 para non era da guerra, sono riuscito a convincere la Commissione Consultiva, ma restava lo scoglio della Cassazione con i giudici aggrappati come le cozze a giurisprudenze della prima guerra mondiale. A quel punto le fondamenta del sistema erano scosse ed è intervenuto l'amico e collega Claudio Lo Curto che con il suo trattato sulle Armi e munizioni da guerra, monumento di acribia giuridica e scientifica, ha dimostrato in modo tale che solo in malafede si potevano sostenere cose diverse, quale è la corretta interpretazione da dare alle norme in materia.
Ora questa ottima sentenza, preceduta da altre un po' più esitanti, pare proprio mettere un punto fermo sulla questione.
È la prima volta, a quanto mi risulta, che lo stesse Procuratore Generale si associa alle richieste della difesa e fa piacere vedere che sia il P.G. che l'estensore della sentenza siano due gentili magistrate.


 


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