Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Il GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA - Il CASO DI AGRIGENTO - DR. ANGELO VICARI

Per i non addetti ai lavori: il giudizio di ottemperanza è quel giudizio instaurato con ricorso dinanzi al giudice amministrativo, affinché la pubblica amministrazione si uniformi alle decisioni del giudice, siccome i provvedimenti del giudice amministrativo devono essere eseguiti dalla pubblica amministrazione e dalle parti  (art. 112 c.p.a.).
In particolare, la legge riconosce al giudice dell’ottemperanza un ampio potere che l’autorizza anche a sostituirsi alla stessa amministrazione inadempiente per l’emanazione dell’atto che questa aveva l’obbligo di emanare a seguito del giudicato. Per tale attività sostitutiva può essere prevista anche la nomina, come ausiliario, di un Commissario ad acta.
Siamo certi che l’uomo della strada consideri detta procedura solo teoria, che poteva trovare applicazione pratica in passato, ma non certo ai giorni nostri, siccome ci hanno convinti che, oramai, la pubblica amministrazione è diventata efficiente ed efficace, sempre al servizio del cittadino. Pertanto, non è realistico e quasi impensabile che chi ha vinto un ricorso contro la pubblica amministrazione, si veda costretto a riproporre un ulteriore ricorso per ottenere quello che gli spetta.
Tale convincimento trova conforto nelle numerose leggi e leggine che, ad iniziare dalla 241 del 1990 (questa legge, meglio conosciuta come quella sulla trasparenza amministrativa, è da considerare una vera e propria rivoluzione copernicana nei rapporti tra cittadino e P.A.; purtroppo, a tutt’oggi, dopo il recente decreto semplificazione del governo Conte, ha subito ben 43 modifiche, generando la consueta confusione interpretativa), sono state emanate con l’intento di sburocratizzare e semplificare l’attività della P.A., cercando di renderla più efficiente, assicurando il buon andamento e l’imparzialità, principi previsti dall’art. 97 della Costituzione.
Invece, nonostante le buone intenzioni del legislatore, ancor oggi, quando il cittadino viene a contatto con la pubblica amministrazione, troppo spesso si rende conto che tutto quello che di bello è reclamizzato non trova riscontro  nella realta’.
Così accade, ancor oggi, che un cittadino, che si era visto accogliere dal giudice amministrativo i ricorsi contro il divieto di detenzione di armi e quello di rifiuto del rinnovo della licenza di porto di fucile per caccia (T.A.R. Sicilia, n.01184/2019), stante la prolungata inottemperanza delle autorità soccombenti a dare esecuzione a quanto stabilito dalla sentenza passata in giudicato, si è visto costretto a ripresentare un ulteriore ricorso per ottenere ciò che il T.A.R. gli aveva riconosciuto.
Infatti, il giudice, preso atto che nonostante i solleciti del ricorrente, l’intimata amministrazione non ha tutt’oggi provveduto a dare esecuzione al giudicato formatosi ha accolto l’ulteriore ricorso, intimando al Ministero dell’Interno l’obbligo di dare piena esecuzione al giudicato, adottando ogni atto necessario per dare corretta esecuzione alla sentenza ( T.A.R. Sicilia, n. 2066/2020).  Con tale giudizio di ottemperanza, il T.A.R., tenuto conto che a tale obbligo il Ministero si è finora sottratto, senza fornire spiegazioni in merito, nemmeno nella fase di ottemperanza, ha anche nominato il Prefetto di Palermo commissario ad acta affinché dia corso all’espletamento dei predetti adempimenti ove non si provveda entro il termine di sessanta giorni.
Nel contempo, lo stesso giudice ha accolto la domanda di fissazione di una somma di denaro dovuta dall’amministrazione per il ritardo nell’esecuzione del giudicato, determinata in misura paria 10 euro per ogni giorno di ulteriore ritardo.
A differenza del primo ricorso in cui le spese di giudizio, come spesso accade, erano state compensate, fortunatamente in questo di ottemperanza il giudice ha condannato l’amministrazione resistente al pagamento delle penalità di mora, nonché delle spese di lite.
Non vogliamo entrare nel merito della vicenda oggetto dei ricorsi, ma non possiamo non evidenziare lo sconforto dell’uomo della strada di fronte a tale comportamento della pubblica amministrazione.
Ci sforziamo anche di trovare una giustificazione a tale comportamento: forse il lavoro degli uffici interessati è in sofferenza per l’accumulo di pratiche arretrate, per cui i solleciti del ricorrente, per ottenere quanto stabilito dal giudice, potrebbero essere stati dimenticati nei meandri di qualche archivio. Ma tale sforzo giustificativo risulta vano, osservando che, non solo il Prefetto e il Questore di Agrigento sono rimasti inadempienti, ma anche lo stesso Ministero dell’Interno.
Purtroppo, in uno Stato di diritto come il nostro, non si comprende perché la pubblica amministrazione possa sottrarsi all’obbligo di eseguire le sentenze del giudice senza incorrere in particolari conseguenze da parte dei funzionari responsabili, mentre il cittadino, se non osserva le leggi, adeguandosi nei termini e tempi previsti, subisce conseguenze a dir poco spiacevoli.
Se questa è la rinnovata pubblica amministrazione, avremmo preferito continuare con quella vecchia; perlomeno eravamo consapevoli delle difficoltà reali nei rapporti con gli uffici pubblici, senza essere storditi dalla reclamizzazione di una pubblica amministrazione trasparente e al servizio del cittadino.
Comunque, considerato che la speranza è l’ultima a morire, l’uomo della strada, che si sente ancora suddito, attende fiducioso di diventare cittadino, perché, come affermava Norberto Bobbio i sudditi diventano cittadini soltanto quando vengono loro riconosciuti i diritti fondamentali.

Firenze 26 ottobre 2020                                         ANGELO VICARI

 


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