Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Bestialità della Cassazione in materia di caricatori

 

Contrordine compagni!, come dicevano le vignette di Guareschi. Per la Cassazione i caricatori rimangono parti!! Vi è un romanzo del 1899 di Octave Mirbeau, Il giardino dei supplizi, in cui si racconta che un tizio veniva torturato masturbandolo a sangue. È un’immagine che mi viene sempre in mente quando vedo come giudici della Cassazione affrontano con poderose sentenze problemi inesistenti, accanendosi su acrobazie interpretative in cui trascurano puntualmente la parte ciò che è più importante e cioè la legge ed i fatti. Ed ho già scritto che ho il sospetto che le armi le munizioni e le loro parti siano degli oggetti che provocano in loro turbe sessuali incontrollabili; figurarsi quando questa parte è un caricatore, oggetto per natura e per forma destinato ad essere infilato da qualche parte.
Le vicende recenti della giurisprudenza sul calibro 9 para (anch’esso destinato ad infilarsi da qualche parte!) e sui caricatori, ne sono una chiara prova e, purtroppo, la prova definitiva di come troppi giudici non siano assolutamente all’altezza dei loro compiti e dei soldi che ricevono.
La vicenda dei caricatori mobili e di quelli fissi (serbatoi) nasce nel 1975 quando l’articolo 19 della legge 110 elenca i caricatori fra le parti essenziali di arma; nessuno da allora ha mai dubitato che solo tali parti essenziali siano soggette alle norme di p.s. relative alle armi.
La direttiva europea 477 del 1991 nella versione in lingua italiana ed inglese elencava fra a  le parti essenziali i caricatori; questi mancavano nella versione in lingua tedesca. La direttiva è stata modificata il 21 maggio 2008 ed essa ha espressamente abolito il riferimento ai caricatori contenuto nel testo originario italiano ed inglese.
Queste modifiche sono state recepite integralmente dal  D.l.vo 204/2010. Nessuno di tutti coloro, giuristi ed esperti, che si occupano di diritto delle armi e che conoscono i loro problemi tecnici e di mercato, hanno avuto mai il minimo dubbio sul fatto che i caricatori non erano più considerati parte di arma e che essi erano totalmente liberalizzati, salvo ovviamente quelli da considerare parti di armi da guerra rispetto alle quali il legislatore non ha mai creato la nozione di parte essenziale. E ciò non soltanto a livello italiano ma a livello internazionale ed europeo. Come già anticipato a chiare lettere dalla legislazione tedesca, il caricatore ormai è divenuto un accessorio perché esso non è essenziale per il funzionamento dell’arma, che può essere utilizzata a colpo singolo anche senza caricatore, perché è normale sia per la difesa che per il tiro sportivo, che chi porta l’arma porti con sé anche più caricatori, perché i caricatori costituiscono una parte elementare che potrebbe anche essere prodotta in plastica come accessorio usa e getta.
E tutti gli esperti hanno sempre capito che ai fini dei controlli sulle armi si fa riferimento soltanto alle parti essenziali perché le parti generiche non sono mai riferibili con certezza ad un’arma comune da sparo; essi proprio per la loro genericità possono comparire indifferentemente in un’arma disattivata, in un’arma salve, in un simulacro di arma e così via.
Ma per questi problemi basta un po’ di buon senso: se tutta l’Europa  e altri paesi del modo cambiano la legge e dicono che il caricatore non è una parte di arma e che si può detenere senza problemi e se  un giudice dice invece che va denunziato,fra i due chi è fuori fase?

Vediamo ora che ha combinato la Cassazione dopo l’uscita del decreto legislativo 204/2010.
Con la sentenza 4050 del 2013 (Presidente Maria Cristina Siotto, estensore Antonella Patrizia Mazzei, PM che chiedeva dichiararsi che i caricatori sono ormai liberi) dichiarava con corretta ed ampia motivazione che i caricatori per arma comune sono ormai di libera detenzione.
Con la sentenza 278114 del 2013, stesso presidente, ma estensore Luigi Pietro Caiazzo, PM che chiedeva assolversi l’imputato, se ne usciva a scrivere che i caricatori rimanevano parti di arma perché è vero che essi non era più essenziali ma restavano pur sempre una parte di arma perché indispensabili per il funzionamento di essa. Sul punto la sentenza si abbandonava a disquisizioni tecniche chiaramente ispirate da un perito sciocco o da un giudice che vede i gialli in televisione.
Con la sentenza 32148 del 2013, si riaffermava che il caricatore restava parte di arma.
Con la sentenza 39209 del 2013 si ribadiva lo stesso concetto col motivazione più ampia. Alla stessa conclusione pervenivano le sentenze 51042 e la 36648 del 2013 decise da collegi con diversi presidenti.

Si può concludere che dopo un iniziale esatta percezione del cambiamento normativo poi è riemersa prepotente la tendenza a ritenere più importanti i ragionamenti dei giudici che non la volontà del legislatore. Per un giudice italiano è del tutto normale che nel resto del mondo i caricatori siano liberi e che solo in Italia siano soggetti a controllo di p.s.! Per un giudice italiano è del tutto normale che si possa cambiare la realtà elucubrando su dati tecnici che non conosce o non capisce e giocando con le parole della legge come se le parole fossero dei vuoti contenitori.

Allego in formato PDF l’ultima sentenza sopra citata. L’errore fondamentale di questa ed altre sentenze in materia di armi è di ricercare la verità nelle massime della cassazione invece che nella realtà e nelle leggi. Che senso ha continuare richiamarsi alle massime della cassazione in materia di parte di armi quando basta leggerle per capire che la cassazione era andata completamente fuori di melone, tanto da arrivare a formulare un principio generale tanto ampio che anche la cinghia che serve per portare un fucile può essere parte di arma? È chiaro che non aveva capito che quando il legislatore elenca le parti essenziali di arma comune da sparo fa delle scelte che non possono essere contestate dal giudice che deve solo leggere le norme e capire la volontà del legislatore; il legislatore non ha affatto omesso, come si immaginano questi estensori di sentenze, di regolare la nozione di parte di arma, ma giustamente si è limitato a regolare solo le parti che avevano rilevanza giuridica. Non ci vuol molto a capire che se non ci fosse stato questo problema non ci sarebbe stato neppure bisogno che la direttiva europea se ne occupasse per ben due volte. E se gli esperti di tutte le nazioni europee hanno fatto delle scelte,  se lo stesso ministero, ben a conoscenza  della volontà degli organi europei, sono giunti a certe conclusioni ufficiali, non è certo il miserabile giurista che ha il potere di contestarle e cambiare la legge.  
E i giudici, al solito, farebbero bene ad astenersi da ridicole affermazioni  tecniche del tutto al di fuori delle loro capacità intellettuali; come si fa a dire che siccome anche il tamburo è un caricatore sarebbe illogico stabilire un regime diverso fra i due oggetti? Forse che per l’estensore un revolver può sparare anche  senza il tamburo?  E come si fa a dire che se il caricatore non è essenziale per una pistola, però lo è per un’arma  automatica, la quale altrimenti non potrebbe sparare in modo automatico?
Se il legislatore fa delle scelte, lo fa sulla base di specifiche esigenze commerciali, pratiche, di coordinamento ed unificazione di normative; come si permette un giudice di ignorarle solo perché non sa neppure di che cosa sta parlando?
E come si fa a sostenere che sarebbero parti essenziali anche il grilletto e il percussore e che legislatore si è dimenticato di esse? È chiaro che molti fra i giudici ritengono che tutti gli esperti del settore armiero europeo e mondiale siano degli imbecilli e che i pochi geni superstiti si trovano tutti al Palazzaccio! Peccato che non arrivino a capire che il grilletto c’è persino, uguale identico. nelle armi a salve e nelle armi giocattolo punto e che il percussore può essere un semplice perno.
Del  tutto inconsistente l’argomento per cui non si debba distinguere fra caricatore per arma comune e caricatore per arma da guerra; si potrebbe agevolmente rispondere che caricatore per arma da guerra è rimasto tale perché la direttiva europea  non se ne è occupata,  oppure perché tale è la volontà del legislatore, che può essere anche poco logica, ma che va rispettata perché il giudice è subordinato alla legge e non alle massime della cassazione; se non gli piace una norma, la manda alla Corte Costituzionale, ma gli è vietato di cambiarla o ignorarla.
La sentenza conclude nel dire che la circolare del ministero del 246/2011 n. 557/AS/10900(27)9 la quale limpidamente prende atto del fatto che i caricatori sono divenuto oggetti di libera vendita, non ha molto valore perché  “non ha fatto una penetrante disamina” della problematica! Perché in Italia solo i giudici sanno penetrarem e sappiamo dove!   Come dire che un atto giuridico non può essere basato sulla corretta lettura delle norme  e sulla realtà, ma che bisogna masturbarsi a sangue  sulle massime ammucchiate nei decenni negli archivi della cassazione! Non è possibile  che al ministero, dove scrivono le norme contenute nelle leggi di p.s. e dove partecipano alle Commissioni Europee di studio, sappiano meglio dei giudici quali sono i problemi da affrontare e da risolvere?
 Ed infine, per questi geni della Cassazione, di fronte ad un caricatore senza marca ed indicazioni, come si fa a stabilire se esso appartiene ad un’arma comune e non ad un’arma a salve di libera vendita?  Non è che con un po’ di buon senso potevano capire, di fronte a questa difficoltà oggettiva, che è molto più logico dichiararli tutti liberi che non tutti vietati?

Qui il testo della prima sentenza 4050/2013 corretta

Qui il testo dell'ultima sentenza pubblicata, Cass. 50912/2013 e che riassume le motivazioni di quelle anteriori conformi.

Nota:
Sia chiaro che il Ministero e gli uffici di PS possono fregarsene della Cassazione, come hanno già fatto altre volte, quasi sempre a ragione!

 


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