Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Consiglio di Stato 10 gennasio 2014 nr. 60/2014 - Porto di pistola - Il prefetto non può ignorare precise situazioni di pericolo

N. 00060/2014 REG. del 10 gennaio 2014
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4507 del 2007, proposto da: Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo — Prefetto di Teramo e Questura di Teramo rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
contro
Merlitti Marco, rappresentato e difeso dall'avv. Pietro Flaiani, con domicilio di legge presso la Segreteria sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro n. 13;
per la riforma della sentenza del T.A.R. ABRUZZO - SEZ. STACCATA DI PESCARA n. 00209/2007, resa tra le parti, concernente diniego rinnovo licenza di porto di pistola

FATTO e DIRITTO
 Con atto notificato il 10 maggio 2007 e depositato il 29 seguente, il Ministero dell’interno ha appellato la sentenza 7 marzo 2007 n. 50 del TAR per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, non risultante notificata, resa ex art. 9 della legge n. 205 del 2000, con la quale è stato accolto il ricorso del signor Marco Merlitti avverso il decreto 8 novembre 2006 n. 21682 del Prefetto di Teramo, di reiezione dell’istanza dell’interessato diretta ad ottenere il rinnovo del porto d’armi.
In particolare, il primo giudice ha ritenuto che non fossero spiegate le ragioni della ritenuta esclusione di pericolo se non genericamente ed illogicamente rispetto al rischio paventato, essendo peraltro compito dell’Amministrazione di valutare principalmente che il richiedente non dia titolo ad abusare della licenza.
A sostegno dell’appello l’Amministrazione ha sostenuto l’erroneità della decisione dal momento che, ai sensi degli artt. 49e 11 t.u.l.p.s., presupposto per l’autorizzazione è il dimostrato bisogno attuale di portare armi, discrezionalmente valutato dalla p.a., mentre non sono sufficienti i requisiti generali; e ciò è vero pure in sede di rinnovo della licenza, in cui vanno valutate le circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego; nella specie non dimostrano il predetto bisogno attuale le circostanze — opportunamente verificate nel corso dell’istruttoria - rappresentate dall’interessato e ribadite nelle sue osservazioni, consistenti nello svolgimento di attività in nessun modo caratterizzate da specifiche situazioni di pericolo concreto per l’incolumità, tali da evidenziare un rischio differenziato, concreto ed individuale, quindi tali da giustificare la necessità di girare armato.
Il signor Merlitti si è costituito in giudizio ed ha svolto controdeduzioni.
Ciò posto, va ricordato che, secondo pacifico orientamento giurisprudenziale, il rilascio (o il rinnovo) della licenza a portare le armi non costituisce una mera autorizzazione di polizia che rimuove il limite ad una situazione giuridica soggettiva, la quale già fa parte della sfera del privato, ma assume contenuto permissivo in deroga al generale divieto di portare armi sancito dall'art. 699 c.p. e dall’art. 4, co. 1, della legge n. 110 del 1975. Inoltre l’art. 42 stabilisce un regime differenziato a seconda che l’autorizzazione venga richiesta per portare armi lunghe da sparo, ovvero armi corte (pistole o rivoltelle): intuitivamente il legislatore considera più pericolose le seconde che le prime. Per le armi lunghe, la licenza è di competenza del Questore, per quelle corte del Prefetto, e solo per le seconde occorre una specifica valutazione del “dimostrato bisogno”.
In tale contesto, il controllo effettuato al riguardo dall'autorità di pubblica sicurezza assume connotazioni particolarmente pregnanti e severe, sicché l'atto autorizzatorio può intervenire (o permanere) soltanto in presenza di condizioni di perfetta e completa sicurezza ed a prevenzione di ogni possibile vulnus all'incolumità di terzi, cui può contribuire ogni aumentata circolazione di armi d'offesa; inoltre, la predetta autorità dispone di una lata discrezionalità nell'apprezzare la sussistenza del "bisogno" del titolo, oltre che dei requisiti soggettivi del richiedente, stanti le evidenti ricadute che tali atti abilitativi possono avere ai fini di una efficace protezione di ordine e sicurezza pubblica, ossia di due beni giuridici di primario interesse pubblico (cfr., ad es., Cons. St., sez. III, 27 giugno 2011 n. 3819).
Nella specie, è ben vero che nell’istanza di rinnovo il signor Merlitti non aveva evidenziato adeguatamente la ricorrenza di specifici fattori di esposizione a rischio differenziato; tuttavia siffatti elementi sono emersi dall’istruttoria svolta dal Prefetto di Teramo sulle osservazioni prodotte dal richiedente a seguito del preavviso di diniego.
Più precisamente, con la nota in data 12 settembre 2006 del Comando provinciale dei Carabinieri di Teramo (pur richiamata nel provvedimento impugnato dal signor Merlitti, depositata in primo grado dalla stessa parte attuale appellante), si espone che il Comando Compagnia di Giulianova ha precisato la sussistenza di “situazioni particolari e specifiche, idonee a giustificare la necessità di girare armato”, determinate dal fatto che l’interessato “maneggia ingenti somme di denaro”, “collabora fattivamente nella gestione delle attività del padre (...) nel campo del movimento terra, nonché della raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti etc. [settore, quest’ultimo, ritenuto particolarmente di interesse da parte della criminalità]”, “ha denunciato — nell’anno in corso — due furti”, la circostanza dello spostarsi con somme di denaro riscosse quale provento della società “viene anche confermata dalla Banca di Credito Cooperativo dell’Adriatico Teramano”, nonché “recentemente risulta aver subito reati contro il patrimonio”. Sulla base di ciò, il Comando provinciale, rimeditando il parere negativo reso con nota del precedente 10 maggio, ha qualificato come “differenziato” il rischio derivante dall’attività di lavoro dell’interessato e, tenuto conto che il medesimo “già titolare di analoga licenza, non consta aver abusato del titolo di polizia”, ha espresso parere favorevole sull’istanza di rinnovo. Diversamente da quanto si sostiene nell’appello, le indicate circostanze di fatto non consistono in elementi astratti in quanto “comuni ad una categoria indefinita di soggetti che espletano quel tipo di attività”, apparendo invece concreti e peculiari al richiedente, non tanto per il trasporto di somme consistenti di denaro (peraltro oggi inattuale per le vigenti restrizioni in materia di pagamenti in contanti), quanto in relazione alla svolta attività lavorativa in materia di rifiuti, già oggetto di attenzione della criminalità manifestata attraverso i denunciati furti e danneggiamenti presso i depositi dell’azienda, nonché in relazione ai connessi viaggi con mezzi pesanti anche in ore notturne presso impianti di carico e scarico di rifiuti, notoriamente lontani dai centri abitati; tanto in zone del Centro Italia, come indicato dall’interessato nelle suaccennate osservazioni, dunque non solo nel territorio provinciale, che nel diniego si afferma essere connotato da condizioni della sicurezza pubblica di buon livello.
Come giustamente sottolineato dal primo giudice, tali condizioni lavorative denotano di per sé un rischio per la sicurezza personale, oltreché dei beni trasportati.
In definitiva, avuto anche riguardo all’assenza di qualsiasi elemento di inaffidabilità del richiedente nell’uso dell’arma, nella specie deve ritenersi che il pur ampio potere discrezionale non è stato esercitato in modo corretto, stante la mancata valutazione di taluna delle predette circostanze di fatto o il palesemente erroneo apprezzamento di altre.
Pertanto l’appello dev’essere respinto.
Tuttavia, la particolarità della situazione giustifica la compensazione tra le parti delle spese del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge il medesimo appello.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

NOTA
La Presente sentenza è ben motivata e definisce chiaramente i compiti del prefetto il quale non può respingere domande di rilascio porto d'armi per pistola negando con parole di stile che vi sia sufficiente pericolo è sufficiente necessità di difendersi.
Purtroppo dimostra anche a quale livello di bassezza sia giunto il nostro sistema di giustizia amministrativa. Il ricorrente si è visto negare una doverosa licenza per difendersi nel 2006, nel 2007 aveva già visto il Tar dargli ragione, ma ha dovuto attendere altri sei anni perché il Consiglio di Stato confermasse che aveva ragione. Forse il Consiglio di Stato poteva tranquillamente dire e se in sette anni non avevano avanzato aveva ragione prefetto a dire che non era in pericolo!
Altra cosa ignobile è che la giustizia amministrativa continui a non condannare, salvo rarissimi casi, il ministero al pagamento delle spese. È una pura clausola di stile il dire che si trattava di una situazione giuridica particolare; ma cosa vi era di particolare! Il cittadino aveva già avuto ragione di fronte al Tar e il ministero ha fatto un ricorso al Consiglio di Stato temerario. Il cittadino ha dovuto pagarsi le spese e avvocato per almeno € 10.000, ha atteso sette anni per veder riconosciuto un suo diritto, avrebbe diritto non solo le spese anche i danni, e se ne va a casa cornuto mazziato.
Se è un caso come questo venisse portato di fronte alla Corte europea di sicuro dichiarerebbe che vi è stata una grave violazione dei diritti fondamentali del cittadino.
(2 febbraio 2014)

 


 


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